LA CORTE DEI CONTI Sezione giurisdizionale per la regione Calabria Il Giudice unico delle pensioni Consigliere Anna Bombino ha pronunciato la seguente ordinanza n. 61/2015. Sul ricorso iscritto al n. 20266 del registro di segreteria, e contestuale istanza di sospensiva, promosso dalla dott.ssa Cristiano Maria Teresa, nata il 1° settembre 1943 a Catanzaro e ivi residente alla via Bambinello Gesu' n. 21, rappresentata e difesa dall'avv. Eleonora Natale ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Catanzaro via degli Angioini n. 89; Avverso la nota-provvedimento n. 1357 del 7 gennaio 2014 dell'INPS (ex gestione INPDAP), contro l'INPS (ex gestione INPDAP), rappresentato dagli avv.ti Giacinto Greco e Francesco Muscari Tomaioli; Uditi alla pubblica udienza del 6 marzo 2015 il relatore dott. Anna Bombino, l'avv. Eleonora Natale e l'avv. Francesco Muscari Tomaioli; Ritenuto in fatto La ricorrente ha denunciato l'illegittimita' del provvedimento di riliquidazione della pensione (CZ 0120013775028 del 12 dicembre 2013) con cui l'INPS - gestione INPDAP aveva determinato in peius il trattamento pensionistico e disposto il recupero di € 230.510,25 corrispondente a quanto asseritamente percepito indebitamente, sul trattamento pensionistico gia' liquidato in via definitiva, a decorrere dal 1° luglio 2006, con determinazione CZ 0120007000083 del 23 gennaio 2007, sostenendo la conformita' a legge di quello modificato con il quale, ai fini della determinazione della retribuzione pensionabile era stato applicato il criterio della media ponderata nell'ultimo quinquennio, con conseguente rimborso delle somme trattenute con interessi e rivalutazione e rifusione delle spese. Invero, con precedente provvedimento (determinazione CZ 012006000551 del 4 luglio 2006), l'INPDAP aveva liquidato la pensione sulla base della retribuzione percepita nell'ultimo mese di servizio, prima del collocamento a riposo (€ 39.811,03), senza aver tenuto conto dell'incarico dirigenziale svolto dalla dipendente dal 9 febbraio 2004 al 31 maggio 2006. Il provvedimento e' stato quindi «annullato» e sostituito sulla base del modello P04 inviato dall'Amministrazione provinciale di Catanzaro con determinazione CZ 0120007000083 del 23 gennaio 2007, con decorrenza dal 1° luglio 2006, con applicazione del criterio della media ponderata sul trattamento economico di dirigente, parametrato sulla retribuzione di dirigente (€ 69.502,25). Il predetto livello retributivo e' stato confermato, in occasione del riconoscimento dei benefici contrattuali per il biennio 2004/2006 previsti dal contratto CCNL regioni e autonomie locali - Dirigenti - Area dirigenza (CZ 012009192118), con applicazione del criterio della media ponderata. In sede di successiva riliquidazione del trattamento pensionistico con applicazione dei benefici contrattuali per il biennio 2006/2007, l'INPS (succeduto all'INPDAP) ha adottato la determinazione CZ 012013775028 del 12 dicembre 2013 rideterminando il trattamento di pensione sulla base dello stipendio di funzionario ed escludendo il criterio della media ponderata (modello PA04 n. 102529 del 24 novembre 2010). La ricorrente ha denunciato l'illegittimita' di quest'ultimo provvedimento di riliquidazione, di cui ha chiesto la disapplicazione sostenendo la conformita' a legge di quello definitivo, con il quale ai fini della retribuzione pensionabile, era stato applicato il criterio della media ponderata, chiedendo il ripristino del trattamento fruito. Ha sostenuto che l'illegittimita' del suddetto provvedimento e' palese in quanto la riduzione della pensione l'accertamento di debito traggono origine da errori imputabili esclusivamente all'Ente previdenziale per cui ha denunciato altresi' la violazione del principio di irrevocabilita' ed immodificabilita' del provvedimento definitivo di pensione oltre il termine triennale ex art. 203 testo unico 29 dicembre 1973, n. 1092, essendo stato adottato il primo provvedimento nell'anno 2007. Ha invocato altresi' l'applicazione dei principi di affidamento e di buona fede (SS.RR. n. 2/QM/12), sul presupposto della loro piena estensibilita' alla fattispecie de qua. Con memoria del 9 aprile 2014 l'INPS - ex gestione INPDAP si e' costituito in giudizio ed ha chiesto il rigetto del ricorso. Nel merito, ha motivato il ricalcolo in peius della pensione (da € 39.811,03 a € 69.366,82) con la circostanza che in sede di riliquidazione per l'applicazione dei benefici contrattuali derivanti dal rinnovo del CCNL Dirigenti, si e' evidenziato che l'incarico dirigenziale era cessato prima del collocamento a riposo della dipendente e che la stessa era rientrata nel ruolo di funzionario, percependone il correlato trattamento retributivo. Di qui la legittimita' del provvedimento di revoca ex art. 26 della legge 3 maggio 1967, n. 315, secondo cui la sua adozione e' ammissibile entro il termine di dieci anni «quando siano acquisiti ad iniziativa delle parti o d'ufficio documenti che non abbiano formato oggetto di esame in sede di adozione del provvedimento ed abbiano rilevanza sulla determinazione del riscatto o del trattamento di quiescenza». Con ordinanza n. 187/2014 del 23 maggio 2014 e' stata accolta l'istanza cautelare di sospensione del recupero dei ratei pensionistici indebiti. Con ordinanza n. 311/14 e' stata acquisita ulteriore documentazione e chiesto chiarimenti all'INPS. Con sentenza non definitiva n. 36 del 6 marzo 2015 questo giudice ha rigettato il ricorso in ordine alla domanda di declaratoria della correttezza dell'applicazione del criterio della media ponderata e della conseguente quantificazione del trattamento pensionistico effettuata con il provvedimento modificato, ha confermato la sospensione del recupero disposta in via cautelare ed ha riservato all'esito della definizione del giudizio costituzionale la decisione definitiva sul ripristino del trattamento precedentemente goduto nonche' sull'irripetibilita'. Considerato in diritto 1. La questione dedotta in giudizio attiene alla legittimita' del provvedimento di riliquidazione della pensione modificativo in peius del trattamento definitivo di pensione, con conseguente emersione di un indebito corrispondente ai maggiori ratei percepiti. L'illegittimita' e' stata dedotta sotto tre aspetti: a) correttezza del ricalcolo del trattamento pensionistico con l'applicazione del criterio della media ponderata; b) insussistenza dei presupposti di fatto e di diritto che legittimano l'esercizio del potere di modifica; c) sussistenza dei presupposti per irripetibilita' dell'indebito. Con sentenza non definitiva n. 36 del 6 marzo 2015 questo G.U. ha rigettato la domanda di declaratoria circa la correttezza della quantificazione operata con il provvedimento modificato (CZ 012007000083; CZ 012013775028) e ha riservato la definitiva pronuncia, in ordine al ripristino, previa disapplicazione del provvedimento di modifica, del trattamento precedentemente goduto all'esito del giudizio di legittimita' costituzionale, rilevante anche per stabilire il titolo della irripetibilita' dell'indebito de quo. 2. Come evidenziato dalla ricorrente, la modifica del trattamento di quiescenza fruito dalla medesima e' avvenuta oltre i casi consentiti dalla normativa vigente per le pensioni degli iscritti alle gestioni previdenziali delle amministrazioni pubbliche, che prevede, sia sotto il profilo temporale che dei vizi emendabili, il potere di modifica, cosi' determinando una significativa differenziazione con la disciplina del settore delle pensioni degli iscritti all'A.G.O. o a gestioni sostitutive, di cui viene rimessa al vaglio costituzionale la valutazione circa la ragionevolezza e razionalita' della medesima disciplina. 2.1. La disposizione normativa in questione recita testualmente: i provvedimenti concernenti le domande di riscatto di servizi o periodi ai fini del trattamento di quiescenza e quelle di liquidazione del trattamento stesso, adottati dai competenti organi deliberanti degli istituti di previdenza e resi esecutivi con decreto del direttore generale degli istituti medesimi, possono d'ufficio o a domanda degli interessati revocati o modificati dagli organi deliberanti entro il termine di novanta giorni decorrente dalla data di comunicazione del decreto agli interessati. La revoca o la modifica e' ammessa, entro il termine di tre anni dalla data predetta, quando: a) vi sia stato errore di fatto o sia stato omesso di tener conto di elementi risultanti dalla documentazione acquisita; b) vi sia stato errore materiale nel computo del servizio ovvero determinazione del contributo di riscatto o dell'importo del trattamento di quiescenza oppure entro il termine di dieci anni dalla data della stessa, quando: c) siano acquisiti, ad iniziativa delle parti o d'ufficio, documenti che non abbiano formato oggetto di esame in sede di adozione del provvedimento e abbiano rilevanza sulla determinazione del riscatto o del trattamento di quiescenza; d) il provvedimento sia stato adottato sopra documenti falsi». 2.2. Tale disciplina e' sovrapponibile a quella sancita dall'art. 204 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, secondo cui «La revoca o la modifica di cui all'articolo precedente puo' avere luogo quando: a) vi sia stato errore di fatto o sia stato omesso di tener conto di elementi risultanti dagli atti; b) vi sia stato errore nel computo dei servizi o nel calcolo del contributo di riscatto, nel calcolo della pensione, assegno o indennita' o nell'applicazione delle tabelle che costituiscono le aliquote o l'ammontare della pensione, assegno o indennita'; c) siano stati rinvenuti documenti nuovi dopo l'emissione del provvedimento; d) il provvedimento sia stato emesso in base a documenti riconosciuti o dichiarati falsi». L'art. 205 dello stesso testo unico dispone che «La revoca o la modifica sono effettuati d'ufficio o a domanda dell'interessato. Nei casi previsti nelle lettere a) e b) dell'art. 204 il provvedimento e' revocato o modificato d'ufficio non oltre il termine di tre anni dalla data di registrazione del provvedimento stesso; nei casi di cui alle lettere c) e d) di detto articolo il termine e' di sessanta giorni dal rinvenimento di documenti nuovi o dalla notizia della riconosciuta o dichiarata falsita' dei documenti. La domanda dell'interessato deve essere presentata, a pena di decadenza, entro i termini stabiliti dal comma precedente; nei casi previsti nelle lettere a) e b) dell'art. 204 il termine decorre dalla data in cui il provvedimento e' stato comunicato all'interessato». Detta disciplina e' stata pure espressamente dichiarata applicabile nei confronti degli ex iscritti alle casse previdenziali amministrate dal Ministero del tesoro dall'art. 8 della legge 8 agosto 1986, n. 538, che testualmente recita: «Il provvedimento definitivo relativo al trattamento di quiescenza puo' essere revocato o modificato dall'ufficio che lo ha emesso. Si applicano le disposizioni contenute negli articoli 204, 205, 206, 207 e 208 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, e nell'art. 3 della legge 7 agosto 1985, n. 428. Per i casi, previsti dai punti c) e d) dell'art. 204 sopra citato, resta fermo il termine di dieci anni di cui all'art. 26 della legge 3 maggio 1967, n. 315». 2.3. La disciplina richiamata delimita in termini cogenti e nel contenuto il potere di modifica o revoca dell'Amministrazione dei propri provvedimenti (definitivi) di pensione, a differenza della normativa dettata per le pensioni a carico dell'A.G.O. e delle gestioni sostitutive, basata sui principi di modificabilita' senza limiti di tempo e di vizi, salva la regola comune dell'irripetibilita' degli importi indebiti percepiti in assenza di dolo. Invero, l'art. 52 della legge n. 88/1989 dispone: «Le pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti, delle gestioni obbligatorie sostitutive, o, comunque, integrative della medesima, della gestione speciale dei minatori, delle gestioni speciali per i commercianti, gli artigiani, i coltivatori diretti, mezzadri o coloni nonche' la pensione sociale, di cui all'art. 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153, possono essere in ogni momento rettificate dagli enti erogatori, in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di erogazione o riliquidazione della prestazione». Il potere di rettifica puo' essere quindi esercitato, senza limiti di tempo e per qualsiasi tipo dei errore, compreso quello di diritto, con riferimento a qualsiasi provvedimento modificato nel suo significato piu' ampio, comprensivo dell'ipotesi di provvedimento di revoca o di annullamento, totale o parziale (Cass. Sez. Lav. Sent. 21 marzo 1992, n. 3563; 12 gennaio 1991, n. 828). 3. Osserva questo G.U. che la questione prospettata e' rilevante nel presente giudizio. E difatti, l'Amministrazione previdenziale ha provveduto oltre il termine triennale alla modifica della pensione definitiva determinata sulla base dell'errore di fatto concernente la retribuzione contributiva presa a riferimento (trattamento dirigenziale anzicche' quello di funzionario goduto per l'intera vita lavorativa della medesima) ritenendo la sussistenza del presupposto per l'applicazione del criterio della media ponderata delle retribuzioni dell'ultimo quinquennio, in conseguenza dello svolgimento dell'incarico dirigenziale, conferitole dalla medesima Amministrazione di appartenenza (dal 1° febbraio 2004 al 30 maggio 2006), senza aver tenuto conto che la dipendente fosse stata riammessa in servizio con la qualifica di funzionario (percependo il corrispettivo trattamento economico) nel mese precedente alla data di collocamento a riposo (30 giugno 2006); conseguentemente, l'applicazione dell'art. 26 della legge n. 317/1967, nei termini sopra esposti, dovrebbe comportare l'accoglimento integrale del ricorso per declaratoria di illegittimita' del provvedimento di modifica, ripristino del trattamento pensionistico percepito ex ante e conseguente irripetibilita' di quanto gia' percepito, per carenza del presupposto dell'indebito e non gia' per l'irripetibilita' dell'indebito previdenziale, cui si e' pure richiamata parte attrice (sentenza n. 7/QM72007). 4. Ad avviso del G.U. la questione non e' manifestamente infondata sotto un duplice profilo: l'uno riconducibile alla previsione di sole due ipotesi di riesame di provvedimento pensionistico produttive di indebito, cioe' la revoca e la modifica, e cio' a fronte di un ampio novero di atti utilizzabili in via generale dall'Amministrazione, in sede di autotutela, per incidere su preesistenti provvedimenti, al fine di eliminare, nell'interesse pubblico, una situazione di illegittimita', originaria o sopravvenuta, causata da vizio di legittimita' o di merito; l'altro, attiene alla violazione del principio di eguaglianza e di buon andamento della pubblica Amministrazione, non ravvisandosi palesi motivi per giustificare la disparita' di trattamento tra i trattamenti pensionistici delle diverse gestioni previdenziali. 4.1. Con riferimento al primo aspetto, pur sottolineando che l'illegittimita' degli articoli 203, 204 e 205 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092/1973 e' stata espressamente esclusa dalla sentenza della Corte costituzionale n. 91 del 5 aprile 1984, e' chiaro ed evidente il favor legislativo per il soggetto comunque titolare di un trattamento di quiescenza potendosi il potere di revoca esercitarsi nei casi espressamente previsti, ma solo entro i termini stabiliti «tre anni dalla data di registrazione del provvedimento» nei casi sub a) e b) del precedente art. 203, «sessanta giorni dal rinvenimento dei documenti nuovi» e «dalla notizia della riconosciuta o dichiarata falsita' dei documenti» nei casi c) e d). Secondo la prevalente giurisprudenza, tali fattispecie nelle quali, una volta riconosciuto il diritto a pensione, non e' piu' possibile sopprimerlo o modificarlo, tranne nei casi espressamente previsti dall'art. 204 testo unico n. 1092/1973, sono costruite sulla falsariga delle ipotesi di revocazione di un giudicato civile, di cui all'art. 395 codice di procedura civile e cioe' sull'asserita equiparazione fra decreto concessivo di pensione e sentenza passata in giudicato. Altri hanno giustificato la sottrazione della materia al generale potere di annullamento in virtu' di una particolare valutazione dell'interesse pubblico, fatta direttamente dal legislatore, in ossequio ad una anacronistica cultura legata alle origini giudiziali dell'attivita' di liquidazione del trattamento pensionistico. La piu' recente dottrina-sensibile alle problematiche giuridico-economiche - ha invece indicato nuove strade che partono dal presupposto che la normativa speciale non escluderebbe il ricorso alle ipotesi contemplate nella normativa generale, al fine di evitare proprio quei paradossi giuridici - come quello in esame - per cui non potendo operare l'annullamento (errore di diritto) di un provvedimento pensionistico, poiche' l'art. 203 e seguenti del testo unico n. 1092/1973 non prevedono un simile caso, si dovrebbe ammettere la ultrattivita' nell'ordinamento giuridico di un atto sostanzialmente illegittimo. Con riferimento a tale peculiare specificita' della normativa applicabile alle pensioni pubbliche, questo giudice dubita della legittimita' costituzionale delle citate norme, sia con riferimento alla previsione dei soli poteri speciali di revoca e modifica dei trattamenti pensionistici, con esclusione del generale potere di annullamento, al quale i primi sono fisiologicamente e funzionalmente riconducibili, sia per effetto dell'esclusione tout court del potere di annullamento in sede di autotutela, proprio di tutte le Amministrazioni pubbliche, senza tener conto delle conseguenze patrimoniali che derivano da tale scelta; sia per la violazione dei principi costituzionali sul funzionamento della pubblica amministrazione e sull'obbligo di legalita' della sua azione, in presenza di un sistema di norme speciali di autotutela, che esclude dal proprio ambito la possibilita' di eliminare gli atti viziati da errori di diritto, non figurando tale categoria generale nelle norme sul potere di revoca degli atti pensionistici in genere. Il recente intervento della Corte costituzionale (sentenza n. 208/2014), nel confermare la legittimita' dell'esclusione dell'errore di diritto tra i casi che giustificano la revoca o la riforma del provvedimento di pensione oltre il termine triennale muove dal presupposto di considerare che il procedimento di liquidazione delle pensioni pubbliche si snoda attraverso due fasi: la provvisoria e la definitiva; la modificabilita' piena nel trattamento provvisorio fino all'emanazione del provvedimento definitivo garantisce una valutazione ponderata di tutti gli elementi di fatto e di diritto entro un lasso temporale con il conseguente affidamento dell'avente diritto nella correttezza della liquidazione definitiva. Va pero' considerato che la distinzione tra le due fasi della liquidazione provvisoria e di quella definitiva, sebbene ancora perdurante, e' stata notevolmente compressa nel senso che la regola oggi imposta e' costituita dalla liquidazione immediata, in via definitiva, da parte dell'INPS, e occasionalmente e per periodi limitati in via provvisoria (decreto legislativo art. 9 legge 7 agosto 1985, n. 428; art. 3, comma 1 del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 74, convertito in legge 28 maggio 1997, n. 140). Ulteriore elemento che connota, poi, le pensioni pubbliche e' stato il venir meno dell'assoggettabilita' a controllo del provvedimento definitivo che, previsto, dapprima in via preventiva (art. 23 regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e legge 14 gennaio 1994, n. 20), poi, successiva (art. 166 legge n. 312/1980), e' stato eliminato a seguito dell'accollo dell'onere pensionistico a carico del bilancio dell'INPS (Corte dei conti sezione controllo di legittimita' degli atti del Governo n. 1/2011 e n. 2/2011), da cui certamente e' conseguita una minore «affidabilita'» delle medesime, ponendole quindi sullo stesso piano di quelle private, con possibili ricadute sul piano della certezza e correttezza del contenuto dei provvedimenti adottati nei confronti degli aventi diritto a prestazioni previdenziali e differenziandole da quelle provvisorie per le quali la normativa vigente prevede la opposta regola della modifica sino alla emanazione del provvedimento definitivo (art. 162 decreto del Presidente della Repubblica n. 1092/1973 e art. 6 decreto-legge n. 702/1978 convertito in legge n. 3/1979); inoltre la definitivita' del provvedimento e' legislativamente legata al controllo della Corte dei conti, stabilendosi che il termine di decadenza per l'esercizio del potere di modifica decorra dalla «registrazione» (art. 205 cit.) - condizione giuridica non piu' vigente - e che l'art. 206 si intende applicabile nel caso in cui il provvedimento definitivo di concessione o riliquidazione della pensione, venga modificato con altro provvedimento formale soggetto a registrazione» (art. 3 legge 7 agosto 1985, n. 428, in sede di interpretazione autentica). Nel caso di specie, l'INPS (ex gestione INPDAP) ha emesso nei confronti della ricorrente, con decorrenza dal 1° luglio 2006, la determinazione CZ 012007000083 (che ha annullato e sostituito l'originaria determinazione CZ 0120006000551); ha riliquidato il trattamento pensionistico con determinazione CZ 012009192118, e infine, con determinazione CZ 012013775028 del 12 dicembre 2013 ha modificato, dopo oltre il termine triennale, il provvedimento concessivo di pensione, con effetti dalla data del congedo (1° luglio 2006). Di fronte a questa situazione, fermo restando la regola comune della non addebitabilita' al percipiente dell'erogazione non dovuta (Corte costituzionale n. 431/1993), la modifica di un provvedimento oltre i limiti temporali e per vizi che ne giustificano l'annullamento in via generale potrebbe giustificarsi sulla base del principio affermato dalla stessa Corte costituzionale secondo cui «erogazioni non dovute non possono concorrere per loro stessa natura all'integrazione della prestazione previdenziale ex art. 38 Cost., sicche' la loro ripetizione non puo' di per se' arrecare alcun «vulnus» al precetto costituzionale di cui all'art. 38; inoltre il suddetto principio dell'adeguatezza va realizzato nei limiti della compatibilita' con le risorse disponibili, sicche' al Parlamento spetta di introdurre modifiche alla legislazione di spesa quando cio' si renda necessario per salvaguardare l'equilibrio di bilancio statale e perseguire il risanamento del debito pubblico (Corte costituzionale 10 marzo 1995, n. 99). Lo stesso Consiglio di Stato ha affermato: «Il recupero di somme erogate dalla pubblica amministrazione ai propri dipendenti ha carattere di doverosita' e costituisce esercizio di un vero e proprio diritto soggettivo a contenuto patrimoniale, non rinunziabile, in quanto correlato al raggiungimento di quelle finalita' di pubblico interesse, cui sono istituzionalmente destinate le somme indebitamente erogate» (C.d.S. sentenza 4 febbraio 2008, n. 29). In altra pronuncia (se pur riferita alla liquidazione dell'indennita' di buonuscita, lo stesso organo ha affermato accanto alle figure della revoca e della modifica e della rettifica considerate nell'art. 30 testo unico n. 1032/1973) ben puo' coesistere l'istituto generale dell'annullamento, alla cui base - oltre alla prova del vizio in cui l'Amministrazione sia incorsa sta anche la dimostrazione di un pubblico interesse specifico alla eliminazione dell'atto viziato, con valutazione da farsi caso per caso; ove il riesame dia luogo ad un indebito da ripetersi, non puo' invocarsi il disposto dell'art. 206 testo unico n. 1092/1973 - essendo questa una norma eccezionale - trovando invece applicazione i principi regolatori della materia (Cons. d.S. sentenza 19 luglio 1998, n. 1241). 5. Con riferimento al secondo profilo attinente alla differenziazione tra pensioni pubbliche e private, fermo restando la coesistenza di una pluralita' di regimi previdenziali aventi la medesima finalita' di tutela ma caratterizzati da discipline significativamente differenti, della cui compatibilita' con il principio di eguaglianza non e' dato dubitare alla luce della giurisprudenza costituzionale (Corte costituzionale sentenza 5 aprile 1984, n. 91), va valutata la persistente operativita' di discipline previdenziali differenti, soprattutto dopo la cosiddetta privatizzazione del pubblico impiego. Nelle recenti riforme questo assetto (categoriale) anche se attenuato quanto ai suoi esiti concreti per effetto di una progressiva armonizzazione delle normative, non e' stato superato sul piano concettuale tant'e' che la stessa riforma recata dalla legge 7 agosto 1995, n. 335, assume tra i propri principi «il rispetto della pluralita' di organismi assicurativi» (art. 1, comma 1). Dall'altra, la stessa legge 8 agosto 1995, n. 335, recante una complessiva riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare, dopo la parziale riforma del 1992, ha introdotto nuove regole sulla previdenza tese a dare una maggiore omogeneita' ad un mosaico di trattamenti e prestazioni consolidate nel tempo; essa ha inciso soprattutto nei confronti del pubblico impiego, non solo attraverso la previsione di una graduale armonizzazione dei diversi regimi pensionistici per quanto riguarda i requisiti di accesso, decorrenza del trattamento pensionistico e per quello di calcolo, sia pure attraverso interventi graduali, ancora in corso (legge Maroni, Prodi, Fornero), ma anche attraverso la revisione disciplinare di alcuni istituti (es.: indennita' di buonuscita e TFR). In questo quadro normativo in evoluzione, e' inserita la soppressione dell'INPDAP (quale polo della previdenza pubblica), ordinatore principale e secondario di spesa, per tutto il settore pubblico, con trasferimento all'INPS, istituto che svolgeva le medesime funzioni nel settore delle pensioni erogate a carico dell'A.G.O. e delle gestioni sostitutive speciali (commercianti, artigiani minatori, coltivatori diretti, mezzadri e coloni) delle sue funzioni e subentro in tutti i rapporti attivi e passivi (decreto-legge 6 dicembre 2011 convertito in legge 24 dicembre 2011, n. 214). 5.1. Per quanto concerne la speciale disciplina dell'indebito pensionistico, in discussione, quella pubblica - come evidenziato - soggiace a precisi limiti temporali, stabiliti a pena di decadenza, quanto all'esercizio del potere di revoca e modifica nonche' all'esclusione di alcuni vizi, per cui appare nettamente differenziata da quella dettata per le pensioni a carico dell'A.G.O. e delle gestioni sostitutive, conformata ai principi opposti della modificabilita' senza limiti temporali e di vizi, salva in entrambi gli ordinamenti l'irripetibilita' degli importi indebitamente percepiti in assenza di dolo. Nel settore delle prestazioni previdenziali erogate dall'INPS, la materia e' rimasta disciplinata da una normativa risalente al 1924 in base alla quale: «Le assegnazioni di pensione si considerano definitive quando entro un anno dall'avviso datone all'interessato, non siano state respinte dalla Cassa nazionale; in tal caso le successive rettifiche di eventuali errori che non siano dovuti a dolo dell'interessato - non hanno effetto sui pagamenti gia' effettuati (regio decreto 28 agosto 1924, n. 1422, art. 80, 3° cpv). Dopo vari interventi interpretativi la Corte di cassazione, con la sentenza n. 310 resa a Sezioni unite in data 20 gennaio 1989 pervenne a ritenere altamente rilevante l'errore dell'istituto sul diritto a pensione; venne cioe' esclusa l'applicabilita' della sanatoria contenuta nella norma in esame, in tutti quei casi in cui il vizio comportasse l'annullamento dell'atto concessivo con eliminazione radicale del connesso diritto, mentre fu ammessa, nei casi in cui il vizio comportasse soltanto una riduzione della misura della pensione. Con l'introduzione della richiamata disposizione dell'art. 52 della legge 9 marzo 1989, n. 88, e soprattutto con i criteri interpretativi dello stesso, forniti dalla Corte di cassazione e dalla Corte costituzionale (sentenza n. 383/1990), si e' determinato un cambiamento della disciplina degli indebiti pensionistici. Si e' infatti affermato che la nuova normativa (contemplante solo i provvedimenti di rettifica, cioe' quelli conseguenti ad errore sulla misura della pensione) avesse introdotto una sorta di sanatoria generalizzata degli indebiti pensionistici, allo scopo di allineare i pensionati del settore privato a quelli dello Stato, di guisa, che solo in caso di dolo del pensionato sarebbe stato possibile procedere al recupero delle somme indebitamente percepite. Invero, anche a seguito dei canoni interpretativi giurisprudenziali (Cass. sezione un. n. 1965/1995), l'art. 52 della legge n. 88/1989 ha finito per dar luogo ad una sorta di sanatoria, pressoche' generalizzata, delle situazioni debitorie nei confronti dell'INPS, che spesso provvede con ritardo a rideterminare le pensioni gia' in essere, a seguito delle verifiche reddituali dei pensionati, comportante una riduzione delle prestazioni. La materia e' stata disciplinata dalla legge n. 412/1991, art. 13, commi 1 e 2, qualificato come norma di interpretazione autentica dell'art. 52 e con effetti restrittivi in ordine alla estensibilita' della sanatoria anche a rapporti «pendenti alla data di entrata in vigore della norma». La successiva pronuncia della Corte costituzionale cui era stata rimessa la questione di costituzionalita' dell'art. 13 dalla Cassazione ha affermato «l'art. 13 della legge n. 412/1991 piu' che una norma interpretativa e' una norma di portata innovativa rispetto all'art. 52 per cui - per essere compatibile con i principi costituzionali deve essere interpretata nel senso che deve essere applicata, solo alle situazioni debitorie insorte successivamente al 30 dicembre 1991» (Corte costituzionale 12 gennaio 199, n. 39). Di conseguenza, alla luce dell'applicazione dei criteri introdotti dalla Corte costituzionale, l'irripetibilita' dell'indebito - nel settore privato - a partire dal 1992, e' condizionato ai seguenti fatti: a) che le somme indebite siano state corrisposte in base ad un formale definitivo provvedimento che risulti viziato da errore; b) che del provvedimento sia stata data comunicazione all'interessato; c) che l'indebita erogazione non consegua ad omessa segnalazione - da parte dell'interessato - di fatti incidenti sul diritto o sulla misura della pensione, fatti di cui non siano gia' a conoscenza dell'INPS. Tale orientamento restrittivo e' confermato anche dalla giurisprudenza secondo cui il potere di rettifica puo' essere esercitato, cioe', senza limiti di tempo e con riguardo a qualsiasi tipo di errore, compreso quello di diritto, «intendendosi provvedimento modificato nel suo significato piu' ampio, comprensivo dell'ipotesi di provvedimenti di revoca o di annullamento, totale o parziale (ex plurimis sezione lavoro sentenza 21 marzo 1992, n. 3563; sezione lavoro 12 gennaio 1991, n. 828). 5.2. La stessa legge n. 412/1996, art. 16, comma 6, con riferimento alla disciplina introdotta in materia di indebiti pensionistici dall'art. 1, commi 260 a 265 (per i periodi anteriori al 1996 esclusi dal recupero), e introducendo il limite reddituale del percettore (per il recupero degli indebiti formatisi dopo il 1996), e' stata pacificamente ritenuta applicabile anche per gli indebiti pensionistici sorti sui trattamenti erogati direttamente dallo Stato o dall'INPDAP, come e' desumibile dal disposto «Le disposizioni di cui all'art. 16, comma 6 della legge 30 dicembre 1991, n. 412, si interpretano nel senso che tra le prestazioni erogate dagli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria sono da ricomprendere le pensioni erogate ai dipendenti, delle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, nonche' le pensioni di invalidita' erogate dallo Stato» (legge 23 dicembre 1998, n. 448, art. 45, comma 6). In realta' la legge 23 dicembre 2001, n. 48 (L.F. 2002) art. 38, commi 7-10 ha, poi, esteso l'operativita' del meccanismo di recupero introdotto dalla legge n. 662/1996 agli indebiti sorti fino al 2000, con esclusione degli indebiti formatisi dopo la data del 1996 sui trattamenti erogati dallo Stato e dall'INPDAP. 5.3. Il breve escursus normativo e giurisprudenziale che parzialmente e con limite temporale ha accomunato la disciplina degli indebiti su trattamenti pensionistici erogati dall'INPS e dall'INPDAP consente quindi di rilevare che con l'arresto normativo da parte dell'art. 38 della legge 23 dicembre 2001, n. 448, e la persistenza delle norme «speciali», e' venuto meno quel processo di sostanziale avvicinamento tra le due discipline degli indebiti, che conferma l'assenza di una disciplina «generale a regime», della subjecta materia. Difatti, fuori dal limite temporale sopra indicato (1996), la normativa di riferimento per gli indebiti pagamenti effettuati dall'INPDAP e' in linea di principio, tranne per la specifica ipotesi di provvedimenti provvisori, quella dell'art. 206 testo unico n. 1092/1973 che limitatamente ai provvedimenti definitivi condiziona il recupero al «dolo positivo» e «commissivo» dell'accipiens. Tali principi, che sostanzialmente accomunano settore pubblico e privato, unitamente a quelli elaborati dalla giurisprudenza costituzionale, costituiscono le regole del sottosistema dell'indebito previdenziale, cosi' come delineato nella preminente ottica di tutela della particolare situazione di bisogno sociale del pensionato e della specifica incidenza che la ripetizione ha potenzialmente sulla conservazione di beni esistenziali oggetto di particolare garanzia costituzionale. 5.3. Delineati cosi' i tratti salienti degli indebiti pensionistici, occorre stabilire se la permanenza di differenze tra le due normative - accomunate come evidenziato - dalle medesime esigenze di tutela dello Stato e del percettore - trovi un'adeguata e razionale giustificazione, fermo restando che sia possibile ravvisare la violazione dell'art. 3 Cost. quando situazioni sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso, mentre non si manifesta tale contrasto quando alla diversita' di disciplina corrispondano situazioni non sostanzialmente identiche essendo insindacabile in tali casi la discrezionalita' del legislatore. In realta', le due norme sono accomunate da piu' aspetti: la funzione retributiva identica assolta dalle pensioni «pubbliche» e quelle «private», la sussistenza della distinzione tra provvedimento provvisorio e definitivo sussiste in entrambi gli ordinamenti, mentre solo per il privato si pone il problema della ripetibilita' dell'indebito; l'art. 13 della legge n. 412/1991 ammette l'irripetibilita' in presenza di una serie di condizioni tra cui la definitivita' del provvedimento. 5.4. In entrambe le ipotesi, una asserita violazione dell'art. 38 Cost., non si appalesa in presenza di erogazioni non dovute che quindi non possono concorrere per loro stessa natura all'integrazione della prestazione previdenziale adeguata, sicche' la loro ripetizione non puo' di per se' arrecare alcun vulnus al precetto costituzionale; sia perche' l'adeguatezza va realizzata nei limiti della compatibilita' con le risorse disponibili, a salvaguardia dell'equilibrio del bilancio statale, sul quale gravano tutte le prestazioni previdenziali di qualsiasi natura e regime (Corte costituzionale n. 99/1995). Dall'altra, la stessa Corte costituzionale ha riconosciuto che «l'affidamento dei cittadini alla stabilita' della normativa vigente e' tutelato come inderogabile precetto di rango costituzionale solo in materia penale (art. 25, secondo Cost.). Per il resto norme retroattive sono ammissibili purche' comportano una regolamentazione non manifestamente irragionevole (sentenza n. 419/2000), onde la retroattivita' puo' risultare giustificata proprio dalla sistematicita' dell'intervento innovatore e dall'esigenza di uniformare i trattamenti di situazioni giuridiche pendenti e quelle delle situazioni che si determineranno in futuro. Nella specie, poi, si tratta dell'affidamento dei pensionati nell'irripetibilita' di trattamenti pensionistici indebitamente percepiti in buona fede, ed esso e' tanto piu' meritevole di tutela ove si tratti di pensionati a reddito non elevato che destinano le prestazioni pensionistiche, pur indebite, al soddisfacimento di bisogni alimentari propri e della famiglia. In tale affidamento questa Corte (sentenza n. 431 del 1993) ha individuato - alla luce dell'art. 38 Cost. - un principio di settore, che esclude la ripetizione se l'erogazione non dovuta, destinata a soddisfare essenziali esigenze di vita del pensionato non sia a lui addebitabile ...». Ed ancora «... D'altra parte la necessita' costituzionale di proteggere, nei sensi indicati, l'affidamento del pensionato non implica di per se' una disciplina unica dell'indebito previdenziale, onde al legislatore, che si sia allontanato dal principio civilistico della totale ripetibilita' dell'indebito oggettivo (art. 2033 del codice civile) deve riconoscersi un ambito di discrezionalita' nell'individuazione di strumenti piu' idonei a garantire ai pensionati a basso reddito un congruo livello di tutela, in un generale quadro di compatibilita', e fra essi puo' ben essere annoverata la scelta di collegare la ripetibilita' ad un criterio meramente reddituale. Inoltre la sostituzione del regime di tutela dell'affidamento del pensionato con un altro criterio, diverso ma parimenti orientato, seppure sotto certi aspetti meno favorevole, trova, con riferimento, alla normativa censurata (legge n. 662/1996) sufficiente giustificatezza nel carattere straordinario ed eccezionale dell'intervento legislativo, diretto a porre ordine nella materia dell'indebito previdenziale (Corte costituzionale sentenza n. 1/2006). 5.5. La stessa modificabilita', per qualsiasi ragione e senza limiti di tempo delle pensioni pubbliche, al pari di quelle private, potrebbe confliggere con la tutela dell'affidamento, quale, ancorche' non espressamente previsto nei trattati europei e nella Costituzione, canone fondamentale nel rapporto autorita- liberta', «parte dell'ordinamento giuridico comunitario» (CGCE causa C-12/1977 del 13 maggio 1978/Topefer) nei termini in cui e' recepito nella giurisprudenza della Corte di giustizia della Comunita' europea e della stessa Corte costituzionale. In primo luogo, aderendo alla prospettazione seguita dalla giurisprudenza maggioritaria, va considerato che il principio della tutela dell'affidamento non puo' essere utilizzato come criterio autonomo ma ricondotto ai principi di uguaglianza, certezza del diritto e legalita'. In particolare, per quanto riguarda i rapporti di durata, quale indubbiamente e' quello pensionistico, la Corte di giustizia ha circoscritto la tutela dell'affidamento, nella declinazione di certezza del diritto, nei limiti degli effetti giuridici gia' prodotti, che non debbono essere incisi dall'atto sopravvenuto, ma lo ha escluso per quelli futuri non ancora prodotti (CGCE n. 373/1993). Nella stessa direttiva la Corte costituzionale (sentenza 12 dicembre 1985, n. 349) chiamata a pronunciarsi sulla legittimita' di interventi normativi volti a introdurre modifiche in peius dei trattamenti pensionistici con effetto retroattivo ha affermato che «nel nostro sistema costituzionale non e' interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali modifichino sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata, anche se il loro oggetto sia costituito da diritti soggettivi perfetti, salvo, qualora si tratti di disposizioni retroattive, il limite costituzionale della materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.). Dette disposizioni pero', al pari di qualsiasi precetto legislativo, non possono trasmodare in un regolamento irrazionale e arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando cosi' anche l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, che costituisce elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto. In particolare non potrebbe dirsi consentita una modificazione legislativa che, intervenendo in una fase avanzata del rapporto di lavoro, ovvero quando addirittura e' subentrato lo stato di quiescenza, peggiorasse senza un'inderogabile esigenza, in misura notevole e in maniera definitiva un trattamento pensionistico in precedenza spettante, con la conseguente, irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attivita'». Seguendo la stessa logica deve essere consentita la modifica di un trattamento erroneamente calcolato a vantaggio (e specularmente a svantaggio) del pensionato, salva l'irripetibilita' dei ratei percepiti in buona fede. La necessita' di contemperare la tutela dell'affidamento con gli altri valori costituzionali e', del resto, implicitamente espressa anche dalla norma - art. 21-nonies legge n. 241/1990 come modificato dalla legge n. 15/2003 che (recependo i principi affermati in via giurisprudenziale), subordina l'esercizio del potere di annullamento del provvedimento illegittimo alla sussistenza dell'interesse pubblico. Fermo restando che l'irripetibilita', salvo l'ipotesi del dolo, dei ratei pensionistici indebitamente percepiti, prevista in entrambi i settori (art. 52, legge n. 88/1989 come interpretato dall'art.13, legge 1991, n. 412; art. 206 testo unico n. 1092/1973 e 8 legge n. 428/1986) nell'ampio spettro risultante dall'applicazione giurisprudenziale costituente diritto vivente, integra una idonea tutela dell'affidamento del pensionato, che sostanzialmente non si atteggia diversamente a seconda che si tratti di un ex lavoratore pubblico o privato. 6. La tutela apprestata dagli articoli 36 e 38 Cost. riguarda quindi sia i lavoratori pubblici che privati, per cui tali norme non potrebbero essere utilmente invocate al fine di giustificare il mantenimento di una disciplina differenziata tra pensionati. 7. Per le medesime ragioni e' ravvisabile anche la violazione dell'art. 97 della Costituzione, norma la cui garanzia, secondo la giurisprudenza del giudice della leggi si combina con quella dell'art. 3 «implicando lo svolgimento di un giudizio di ragionevolezza sulla legge censurata, nel senso che la violazione del giudizio di ragionevolezza e' da ritenersi integrata dal tenore della disposizione impugnata nella misura in cui riserva una disciplina irragionevolmente e arbitrariamente favorevole ai pensionati del settore pubblico rispetto a quello privato». Differenziata disciplina che, irragionevolmente, sottrae all'ente previdenziale pubblico, in un momento di gravi difficolta' economiche-finanziarie, di ricorrenti timori per la sostenibilita' del sistema previdenziale e, infine in una prospettiva futura di crescente compressione dell'entita' delle prestazioni previdenziali a parita' di contributi versati, la possibilita' di impedire il protrarsi, per un periodo di tempo indeterminato, di un nocumento patrimoniale corrispondente all'erogazione di un trattamento pensionistico erroneamente calcolato. Il tutto senza che nell'ambito di una previsione generale, non discriminante in relazione all'entita' dell'indebito e/o del trattamento pensionistico correttamente determinato, la lesione dell'interesse pubblico trovi un'adeguata giustificazione in situazioni economiche e sociali del pensionato specificatamente individuate e non apoditticamente assunte a denominatore comune dell'intera categoria, comprendente anche soggetti titolari di laute ed eventualmente plurime pensioni (Corte conti, sezione Calabria ordinanza n. 301/2014). 8. A fronte dell'esistente autonomia istituzionale e finanziaria delle singole gestioni ma tenuto conto dell'identita' della funzione retributiva, del processo legislativo di omogeneizzazione delle pensioni e, soprattutto, l'assenza di oggettive differenziazioni tra le situazione giuridiche regolate, sia sotto il profilo della procedura seguita che sotto quello dei valori costituzionali tutelati, la rilevata diversita' di trattamento giuridico e' da ritenere in contrasto con i principi di uguaglianza ex art. 3 Cost. e di buon andamento dell'azione della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost. Pertanto, l'art. 26 della legge 30 giugno 1967, n. 315 e, per conseguenza, gli articoli 204 e 205 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, nella parte in cui limitano la revoca e la modifica del trattamento di quiescenza liquidato in via definitiva ai soli casi ivi contemplati e nei termini temporali indicati, integrano una violazione del precetti di cui agli articoli 3 e 97 Cost., per contrasto con la diversa disciplina recata dall'art. 52 della legge n. 89 del 1988 che, invece, consente la rettifica in qualsiasi momento e per qualsiasi vizio. In definitiva, cio' che accomuna gli indebiti pensionistici al di la' dei parziali e temporali interventi effettuati dal legislatore sulla specifica disciplina di settore, e' la possibilita' della pubblica amministrazione di riesaminare e riformare in peius un provvedimento, concessivo di determinati diritti patrimoniali ad un dipendente pubblico o privato con conseguente formarsi di un indebito.