LA CORTE DEI CONTI 
           Sezione giurisdizionale per la regione Calabria 
 
    Il Giudice unico  delle  pensioni  Consigliere  Anna  Bombino  ha
pronunciato la seguente ordinanza n. 61/2015. 
    Sul ricorso iscritto al n. 20266 del registro  di  segreteria,  e
contestuale istanza di sospensiva, promosso dalla dott.ssa  Cristiano
Maria Teresa, nata il 1° settembre 1943 a Catanzaro e  ivi  residente
alla via Bambinello Gesu' n. 21,  rappresentata  e  difesa  dall'avv.
Eleonora Natale ed elettivamente domiciliata presso il suo studio  in
Catanzaro via degli Angioini n. 89; 
    Avverso  la  nota-provvedimento  n.  1357  del  7  gennaio   2014
dell'INPS (ex gestione INPDAP), contro l'INPS (ex  gestione  INPDAP),
rappresentato  dagli  avv.ti  Giacinto  Greco  e  Francesco   Muscari
Tomaioli; 
    Uditi alla pubblica udienza del 6 marzo 2015  il  relatore  dott.
Anna Bombino, l'avv.  Eleonora  Natale  e  l'avv.  Francesco  Muscari
Tomaioli; 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    La ricorrente ha denunciato l'illegittimita' del provvedimento di
riliquidazione della pensione (CZ 0120013775028 del 12 dicembre 2013)
con cui l'INPS -  gestione  INPDAP  aveva  determinato  in  peius  il
trattamento pensionistico e disposto  il  recupero  di  €  230.510,25
corrispondente a quanto asseritamente  percepito  indebitamente,  sul
trattamento  pensionistico  gia'  liquidato  in  via  definitiva,   a
decorrere dal 1° luglio 2006, con determinazione CZ 0120007000083 del
23  gennaio  2007,  sostenendo  la  conformita'  a  legge  di  quello
modificato  con  il  quale,  ai  fini  della   determinazione   della
retribuzione pensionabile era stato applicato il criterio della media
ponderata nell'ultimo quinquennio,  con  conseguente  rimborso  delle
somme trattenute con interessi  e  rivalutazione  e  rifusione  delle
spese. 
    Invero,   con   precedente   provvedimento   (determinazione   CZ
012006000551 del 4 luglio 2006), l'INPDAP aveva liquidato la pensione
sulla base della retribuzione percepita nell'ultimo mese di servizio,
prima del collocamento a riposo  (€  39.811,03),  senza  aver  tenuto
conto  dell'incarico  dirigenziale  svolto  dalla  dipendente  dal  9
febbraio 2004 al 31 maggio 2006. 
    Il provvedimento e' stato quindi «annullato» e  sostituito  sulla
base del modello  P04  inviato  dall'Amministrazione  provinciale  di
Catanzaro con determinazione CZ 0120007000083 del  23  gennaio  2007,
con decorrenza dal 1° luglio  2006,  con  applicazione  del  criterio
della  media  ponderata  sul  trattamento  economico  di   dirigente,
parametrato sulla retribuzione di dirigente (€ 69.502,25). 
    Il predetto livello retributivo e' stato confermato, in occasione
del riconoscimento dei benefici contrattuali per il biennio 2004/2006
previsti dal contratto CCNL regioni e autonomie locali - Dirigenti  -
Area dirigenza (CZ 012009192118), con applicazione del criterio della
media ponderata. 
    In   sede   di   successiva   riliquidazione   del    trattamento
pensionistico con  applicazione  dei  benefici  contrattuali  per  il
biennio 2006/2007,  l'INPS  (succeduto  all'INPDAP)  ha  adottato  la
determinazione CZ 012013775028 del 12 dicembre 2013 rideterminando il
trattamento di pensione sulla base dello stipendio di funzionario  ed
escludendo il criterio della media ponderata (modello PA04 n.  102529
del 24 novembre 2010). 
    La ricorrente  ha  denunciato  l'illegittimita'  di  quest'ultimo
provvedimento di riliquidazione, di cui ha chiesto la disapplicazione
sostenendo la conformita' a legge di quello definitivo, con il  quale
ai fini della  retribuzione  pensionabile,  era  stato  applicato  il
criterio  della  media  ponderata,  chiedendo   il   ripristino   del
trattamento fruito. 
    Ha sostenuto che l'illegittimita' del suddetto  provvedimento  e'
palese in quanto la riduzione della pensione l'accertamento di debito
traggono  origine  da  errori  imputabili   esclusivamente   all'Ente
previdenziale per  cui  ha  denunciato  altresi'  la  violazione  del
principio di irrevocabilita' ed immodificabilita'  del  provvedimento
definitivo di pensione oltre il termine triennale ex art.  203  testo
unico 29 dicembre 1973, n. 1092,  essendo  stato  adottato  il  primo
provvedimento nell'anno 2007. 
    Ha invocato altresi' l'applicazione dei principi di affidamento e
di buona fede (SS.RR. n. 2/QM/12), sul presupposto della  loro  piena
estensibilita' alla fattispecie de qua. 
    Con memoria del 9 aprile 2014 l'INPS - ex gestione INPDAP  si  e'
costituito in giudizio ed ha chiesto il rigetto del ricorso. 
    Nel merito, ha motivato il ricalcolo in peius della pensione  (da
€ 39.811,03 a  €  69.366,82)  con  la  circostanza  che  in  sede  di
riliquidazione per l'applicazione dei benefici contrattuali derivanti
dal rinnovo del CCNL Dirigenti,  si  e'  evidenziato  che  l'incarico
dirigenziale era  cessato  prima  del  collocamento  a  riposo  della
dipendente e che la stessa era rientrata nel  ruolo  di  funzionario,
percependone il correlato trattamento retributivo. 
    Di qui la legittimita' del provvedimento di  revoca  ex  art.  26
della legge 3 maggio 1967, n. 315, secondo cui  la  sua  adozione  e'
ammissibile entro il termine di dieci anni «quando siano acquisiti ad
iniziativa delle parti o d'ufficio documenti che non abbiano  formato
oggetto di esame in sede di adozione  del  provvedimento  ed  abbiano
rilevanza sulla determinazione del  riscatto  o  del  trattamento  di
quiescenza». 
    Con ordinanza n. 187/2014 del 23 maggio  2014  e'  stata  accolta
l'istanza  cautelare  di   sospensione   del   recupero   dei   ratei
pensionistici indebiti. 
    Con  ordinanza   n.   311/14   e'   stata   acquisita   ulteriore
documentazione e chiesto chiarimenti all'INPS. 
    Con sentenza non definitiva n. 36 del 6 marzo 2015 questo giudice
ha rigettato il ricorso in ordine alla domanda di declaratoria  della
correttezza dell'applicazione del criterio della  media  ponderata  e
della  conseguente  quantificazione  del  trattamento   pensionistico
effettuata  con  il  provvedimento  modificato,  ha   confermato   la
sospensione del recupero disposta in via cautelare  ed  ha  riservato
all'esito della definizione del giudizio costituzionale la  decisione
definitiva sul  ripristino  del  trattamento  precedentemente  goduto
nonche' sull'irripetibilita'. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. La questione dedotta in giudizio attiene alla legittimita' del
provvedimento di riliquidazione della pensione modificativo in  peius
del trattamento definitivo di pensione, con conseguente emersione  di
un indebito corrispondente ai maggiori ratei percepiti. 
    L'illegittimita' e' stata dedotta sotto tre aspetti: 
    a) correttezza del ricalcolo del  trattamento  pensionistico  con
l'applicazione del criterio della media ponderata; 
    b) insussistenza dei  presupposti  di  fatto  e  di  diritto  che
legittimano l'esercizio del potere di modifica; 
    c) sussistenza dei presupposti per irripetibilita' dell'indebito. 
    Con sentenza non definitiva n. 36 del 6 marzo 2015 questo G.U. ha
rigettato la domanda  di  declaratoria  circa  la  correttezza  della
quantificazione  operata  con   il   provvedimento   modificato   (CZ
012007000083;  CZ  012013775028)  e  ha   riservato   la   definitiva
pronuncia,  in  ordine  al  ripristino,  previa  disapplicazione  del
provvedimento di modifica,  del  trattamento  precedentemente  goduto
all'esito del  giudizio  di  legittimita'  costituzionale,  rilevante
anche per stabilire il titolo della irripetibilita' dell'indebito  de
quo. 
    2. Come evidenziato dalla ricorrente, la modifica del trattamento
di  quiescenza  fruito  dalla  medesima  e'  avvenuta  oltre  i  casi
consentiti dalla normativa vigente per  le  pensioni  degli  iscritti
alle gestioni  previdenziali  delle  amministrazioni  pubbliche,  che
prevede, sia sotto il profilo temporale che dei vizi  emendabili,  il
potere   di   modifica,   cosi'   determinando   una    significativa
differenziazione con la disciplina del settore delle  pensioni  degli
iscritti all'A.G.O. o a gestioni sostitutive, di cui viene rimessa al
vaglio  costituzionale  la  valutazione  circa  la  ragionevolezza  e
razionalita' della medesima disciplina. 
        2.1.  La   disposizione   normativa   in   questione   recita
testualmente: i provvedimenti concernenti le domande di  riscatto  di
servizi o periodi ai fini del trattamento di quiescenza e  quelle  di
liquidazione del trattamento stesso, adottati dai  competenti  organi
deliberanti degli istituti di previdenza e resi esecutivi con decreto
del direttore generale degli istituti medesimi, possono d'ufficio o a
domanda  degli  interessati  revocati  o  modificati   dagli   organi
deliberanti entro il termine di novanta giorni decorrente dalla  data
di comunicazione  del  decreto  agli  interessati.  La  revoca  o  la
modifica e'  ammessa,  entro  il  termine  di  tre  anni  dalla  data
predetta, quando: 
    a) vi sia stato errore di fatto o sia stato omesso di tener conto
di elementi risultanti dalla documentazione acquisita; 
    b) vi sia stato errore materiale nel computo del servizio  ovvero
determinazione  del  contributo  di  riscatto  o   dell'importo   del
trattamento di quiescenza oppure entro il termine di dieci anni dalla
data della stessa, quando: 
    c) siano  acquisiti,  ad  iniziativa  delle  parti  o  d'ufficio,
documenti che non  abbiano  formato  oggetto  di  esame  in  sede  di
adozione del provvedimento e abbiano rilevanza  sulla  determinazione
del riscatto o del trattamento di quiescenza; 
    d) il provvedimento sia stato adottato sopra documenti falsi». 
        2.2. Tale  disciplina  e'  sovrapponibile  a  quella  sancita
dall'art. 204 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre
1973,  n.  1092,  secondo  cui  «La  revoca  o  la  modifica  di  cui
all'articolo precedente puo' avere luogo quando: 
    a) vi sia stato errore di fatto o sia stato omesso di tener conto
di elementi risultanti dagli atti; 
    b) vi sia stato errore nel computo dei servizi o nel calcolo  del
contributo  di  riscatto,  nel  calcolo  della  pensione,  assegno  o
indennita' o nell'applicazione delle  tabelle  che  costituiscono  le
aliquote o l'ammontare della pensione, assegno o indennita'; 
    c) siano stati rinvenuti documenti  nuovi  dopo  l'emissione  del
provvedimento; 
    d)  il  provvedimento  sia  stato  emesso  in  base  a  documenti
riconosciuti o dichiarati falsi». 
    L'art. 205 dello stesso testo unico dispone che «La revoca  o  la
modifica sono effettuati d'ufficio o a domanda dell'interessato.  Nei
casi previsti nelle lettere a) e b) dell'art. 204 il provvedimento e'
revocato o modificato d'ufficio non oltre  il  termine  di  tre  anni
dalla data di registrazione del provvedimento stesso; nei casi di cui
alle lettere c) e d) di detto articolo  il  termine  e'  di  sessanta
giorni dal rinvenimento di documenti  nuovi  o  dalla  notizia  della
riconosciuta  o  dichiarata  falsita'  dei  documenti.   La   domanda
dell'interessato deve essere presentata, a pena di decadenza, entro i
termini stabiliti dal  comma  precedente;  nei  casi  previsti  nelle
lettere a) e b) dell'art. 204 il termine decorre dalla data in cui il
provvedimento e' stato comunicato all'interessato». 
    Detta  disciplina  e'   stata   pure   espressamente   dichiarata
applicabile nei confronti degli ex iscritti alle casse  previdenziali
amministrate dal Ministero del  tesoro  dall'art.  8  della  legge  8
agosto 1986, n.  538,  che  testualmente  recita:  «Il  provvedimento
definitivo relativo al trattamento di quiescenza puo' essere revocato
o  modificato  dall'ufficio  che  lo  ha  emesso.  Si  applicano   le
disposizioni contenute negli articoli 204, 205, 206, 207  e  208  del
decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092,  e
nell'art. 3 della legge 7 agosto 1985, n. 428. Per i  casi,  previsti
dai punti c) e d) dell'art. 204 sopra citato, resta fermo il  termine
di dieci anni di cui all'art. 26 della legge 3 maggio 1967, n. 315». 
        2.3. La disciplina richiamata delimita in termini  cogenti  e
nel contenuto il potere di modifica o revoca dell'Amministrazione dei
propri provvedimenti (definitivi) di  pensione,  a  differenza  della
normativa dettata per  le  pensioni  a  carico  dell'A.G.O.  e  delle
gestioni sostitutive, basata sui principi  di  modificabilita'  senza
limiti   di   tempo   e   di   vizi,   salva   la    regola    comune
dell'irripetibilita' degli importi indebiti percepiti in  assenza  di
dolo. 
    Invero, l'art. 52 della legge n. 88/1989 dispone: «Le pensioni  a
carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la
vecchiaia e i superstiti dei lavoratori  dipendenti,  delle  gestioni
obbligatorie sostitutive, o, comunque,  integrative  della  medesima,
della gestione speciale dei minatori, delle gestioni speciali  per  i
commercianti, gli artigiani, i coltivatori diretti, mezzadri o coloni
nonche' la pensione sociale, di cui all'art. 26 della legge 30 aprile
1969, n. 153, possono essere in ogni momento rettificate  dagli  enti
erogatori, in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede  di
erogazione o riliquidazione della prestazione». 
    Il potere di  rettifica  puo'  essere  quindi  esercitato,  senza
limiti di tempo e per qualsiasi tipo dei errore, compreso  quello  di
diritto, con riferimento a qualsiasi provvedimento modificato nel suo
significato piu' ampio, comprensivo dell'ipotesi di provvedimento  di
revoca o di annullamento, totale o parziale (Cass. Sez. Lav. Sent. 21
marzo 1992, n. 3563; 12 gennaio 1991, n. 828). 
    3. Osserva questo G.U. che la questione prospettata e'  rilevante
nel presente giudizio. 
    E difatti, l'Amministrazione previdenziale ha provveduto oltre il
termine triennale alla modifica della pensione definitiva determinata
sulla  base  dell'errore  di  fatto   concernente   la   retribuzione
contributiva presa a riferimento (trattamento dirigenziale  anzicche'
quello di funzionario  goduto  per  l'intera  vita  lavorativa  della
medesima) ritenendo la sussistenza del presupposto per l'applicazione
del criterio della media  ponderata  delle  retribuzioni  dell'ultimo
quinquennio,   in   conseguenza   dello   svolgimento   dell'incarico
dirigenziale,   conferitole   dalla   medesima   Amministrazione   di
appartenenza (dal 1° febbraio 2004 al 30  maggio  2006),  senza  aver
tenuto conto che la dipendente fosse stata riammessa in servizio  con
la qualifica di funzionario (percependo il corrispettivo  trattamento
economico) nel mese precedente alla data di collocamento a riposo (30
giugno 2006); conseguentemente,  l'applicazione  dell'art.  26  della
legge n. 317/1967, nei termini  sopra  esposti,  dovrebbe  comportare
l'accoglimento   integrale   del   ricorso   per   declaratoria    di
illegittimita'  del  provvedimento  di   modifica,   ripristino   del
trattamento   pensionistico   percepito   ex   ante   e   conseguente
irripetibilita' di quanto gia' percepito, per carenza del presupposto
dell'indebito  e  non  gia'   per   l'irripetibilita'   dell'indebito
previdenziale, cui si e' pure richiamata parte attrice  (sentenza  n.
7/QM72007). 
    4.  Ad  avviso  del  G.U.  la  questione  non  e'  manifestamente
infondata  sotto  un  duplice  profilo:  l'uno   riconducibile   alla
previsione  di  sole  due  ipotesi  di   riesame   di   provvedimento
pensionistico produttive di indebito, cioe' la revoca e la  modifica,
e cio' a fronte di un  ampio  novero  di  atti  utilizzabili  in  via
generale dall'Amministrazione, in sede di autotutela, per incidere su
preesistenti provvedimenti,  al  fine  di  eliminare,  nell'interesse
pubblico,   una   situazione   di   illegittimita',   originaria    o
sopravvenuta, causata da vizio di legittimita' o di merito;  l'altro,
attiene alla violazione  del  principio  di  eguaglianza  e  di  buon
andamento della pubblica  Amministrazione,  non  ravvisandosi  palesi
motivi  per  giustificare  la  disparita'  di   trattamento   tra   i
trattamenti pensionistici delle diverse gestioni previdenziali. 
        4.1. Con riferimento al primo aspetto, pur sottolineando  che
l'illegittimita' degli articoli  203,  204  e  205  del  decreto  del
Presidente della  Repubblica  n.  1092/1973  e'  stata  espressamente
esclusa dalla sentenza della Corte costituzionale n. 91 del 5  aprile
1984, e' chiaro ed evidente il  favor  legislativo  per  il  soggetto
comunque titolare di un trattamento di quiescenza potendosi il potere
di revoca esercitarsi nei casi espressamente previsti, ma solo  entro
i termini  stabiliti  «tre  anni  dalla  data  di  registrazione  del
provvedimento» nei  casi  sub  a)  e  b)  del  precedente  art.  203,
«sessanta giorni dal  rinvenimento  dei  documenti  nuovi»  e  «dalla
notizia della riconosciuta o dichiarata falsita' dei  documenti»  nei
casi c) e d). 
    Secondo la  prevalente  giurisprudenza,  tali  fattispecie  nelle
quali, una volta riconosciuto il diritto  a  pensione,  non  e'  piu'
possibile sopprimerlo o modificarlo, tranne  nei  casi  espressamente
previsti dall'art. 204 testo unico n. 1092/1973, sono costruite sulla
falsariga delle ipotesi di revocazione di un giudicato civile, di cui
all'art.  395  codice  di  procedura  civile  e  cioe'  sull'asserita
equiparazione fra decreto concessivo di pensione e  sentenza  passata
in giudicato. 
    Altri hanno giustificato la sottrazione della materia al generale
potere di annullamento  in  virtu'  di  una  particolare  valutazione
dell'interesse  pubblico,  fatta  direttamente  dal  legislatore,  in
ossequio ad una anacronistica cultura legata alle origini  giudiziali
dell'attivita' di liquidazione del trattamento pensionistico. 
    La   piu'   recente   dottrina-sensibile    alle    problematiche
giuridico-economiche - ha invece indicato nuove  strade  che  partono
dal presupposto che la normativa speciale non escluderebbe il ricorso
alle ipotesi contemplate nella normativa generale, al fine di evitare
proprio quei paradossi giuridici - come quello in esame - per cui non
potendo  operare   l'annullamento   (errore   di   diritto)   di   un
provvedimento pensionistico, poiche' l'art. 203 e seguenti del  testo
unico  n.  1092/1973  non  prevedono  un  simile  caso,  si  dovrebbe
ammettere la ultrattivita'  nell'ordinamento  giuridico  di  un  atto
sostanzialmente illegittimo. 
    Con riferimento a tale  peculiare  specificita'  della  normativa
applicabile alle pensioni  pubbliche,  questo  giudice  dubita  della
legittimita' costituzionale delle citate norme, sia  con  riferimento
alla previsione dei soli poteri speciali di  revoca  e  modifica  dei
trattamenti pensionistici, con  esclusione  del  generale  potere  di
annullamento, al quale i primi sono fisiologicamente e funzionalmente
riconducibili, sia per effetto dell'esclusione tout court del  potere
di  annullamento  in  sede  di  autotutela,  proprio  di   tutte   le
Amministrazioni  pubbliche,  senza  tener  conto  delle   conseguenze
patrimoniali che derivano da tale scelta; sia per la  violazione  dei
principi   costituzionali   sul    funzionamento    della    pubblica
amministrazione e sull'obbligo di  legalita'  della  sua  azione,  in
presenza di un sistema di norme speciali di autotutela,  che  esclude
dal proprio ambito la possibilita' di eliminare gli atti  viziati  da
errori di diritto, non figurando tale categoria generale nelle  norme
sul potere di revoca degli atti pensionistici in genere. 
    Il recente intervento della  Corte  costituzionale  (sentenza  n.
208/2014), nel confermare la legittimita' dell'esclusione dell'errore
di diritto tra i casi che giustificano la revoca  o  la  riforma  del
provvedimento di  pensione  oltre  il  termine  triennale  muove  dal
presupposto di considerare che il procedimento di liquidazione  delle
pensioni pubbliche si snoda attraverso due fasi: la provvisoria e  la
definitiva; la modificabilita' piena nel trattamento provvisorio fino
all'emanazione   del   provvedimento   definitivo   garantisce    una
valutazione ponderata di tutti gli elementi di  fatto  e  di  diritto
entro un lasso temporale con il conseguente  affidamento  dell'avente
diritto nella correttezza della liquidazione definitiva. 
    Va pero' considerato che la distinzione tra  le  due  fasi  della
liquidazione provvisoria  e  di  quella  definitiva,  sebbene  ancora
perdurante, e' stata notevolmente compressa nel senso che  la  regola
oggi imposta e'  costituita  dalla  liquidazione  immediata,  in  via
definitiva, da parte  dell'INPS,  e  occasionalmente  e  per  periodi
limitati in via provvisoria  (decreto  legislativo  art.  9  legge  7
agosto 1985, n. 428; art. 3, comma 1 del decreto-legge 28 marzo 1997,
n. 74, convertito in legge 28 maggio 1997, n. 140). 
    Ulteriore elemento che connota, poi,  le  pensioni  pubbliche  e'
stato  il  venir  meno   dell'assoggettabilita'   a   controllo   del
provvedimento definitivo che, previsto, dapprima  in  via  preventiva
(art. 23 regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e  legge  14  gennaio
1994, n. 20), poi, successiva (art. 166 legge n. 312/1980), e'  stato
eliminato a seguito dell'accollo dell'onere  pensionistico  a  carico
del  bilancio  dell'INPS  (Corte  dei  conti  sezione  controllo   di
legittimita' degli atti del Governo n. 1/2011 e n.  2/2011),  da  cui
certamente e' conseguita una minore «affidabilita'»  delle  medesime,
ponendole quindi sullo stesso piano di quelle private, con  possibili
ricadute sul piano della certezza e  correttezza  del  contenuto  dei
provvedimenti  adottati  nei  confronti  degli   aventi   diritto   a
prestazioni previdenziali e differenziandole  da  quelle  provvisorie
per le quali la normativa vigente prevede  la  opposta  regola  della
modifica sino alla emanazione del provvedimento definitivo (art.  162
decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.  1092/1973  e  art.  6
decreto-legge n. 702/1978 convertito in legge n. 3/1979); inoltre  la
definitivita'  del  provvedimento  e'  legislativamente   legata   al
controllo della Corte dei  conti,  stabilendosi  che  il  termine  di
decadenza per  l'esercizio  del  potere  di  modifica  decorra  dalla
«registrazione» (art. 205  cit.)  -  condizione  giuridica  non  piu'
vigente - e che l'art. 206 si intende applicabile nel caso in cui  il
provvedimento  definitivo  di  concessione  o  riliquidazione   della
pensione, venga modificato con altro provvedimento formale soggetto a
registrazione» (art. 3 legge 7  agosto  1985,  n.  428,  in  sede  di
interpretazione autentica). 
    Nel caso di specie, l'INPS (ex gestione  INPDAP)  ha  emesso  nei
confronti della ricorrente, con decorrenza dal  1°  luglio  2006,  la
determinazione  CZ  012007000083  (che  ha  annullato  e   sostituito
l'originaria determinazione  CZ  0120006000551);  ha  riliquidato  il
trattamento  pensionistico  con  determinazione  CZ  012009192118,  e
infine, con determinazione CZ 012013775028 del 12  dicembre  2013  ha
modificato,  dopo  oltre  il  termine  triennale,  il   provvedimento
concessivo di pensione, con effetti dalla data del congedo (1° luglio
2006). 
    Di fronte a questa situazione, fermo restando  la  regola  comune
della non addebitabilita' al percipiente dell'erogazione  non  dovuta
(Corte costituzionale n. 431/1993), la modifica di  un  provvedimento
oltre  i  limiti  temporali  e   per   vizi   che   ne   giustificano
l'annullamento in via generale potrebbe giustificarsi sulla base  del
principio affermato dalla stessa  Corte  costituzionale  secondo  cui
«erogazioni non dovute non possono concorrere per loro stessa  natura
all'integrazione della prestazione previdenziale ex  art.  38  Cost.,
sicche' la loro ripetizione  non  puo'  di  per  se'  arrecare  alcun
«vulnus» al precetto costituzionale di cui all'art.  38;  inoltre  il
suddetto principio dell'adeguatezza va realizzato  nei  limiti  della
compatibilita' con le  risorse  disponibili,  sicche'  al  Parlamento
spetta di introdurre modifiche alla legislazione di spesa quando cio'
si  renda  necessario  per  salvaguardare  l'equilibrio  di  bilancio
statale e  perseguire  il  risanamento  del  debito  pubblico  (Corte
costituzionale 10 marzo 1995, n. 99). 
    Lo stesso Consiglio di Stato ha affermato: «Il recupero di  somme
erogate  dalla  pubblica  amministrazione  ai  propri  dipendenti  ha
carattere di doverosita' e costituisce esercizio di un vero e proprio
diritto soggettivo a contenuto  patrimoniale,  non  rinunziabile,  in
quanto correlato al raggiungimento di quelle  finalita'  di  pubblico
interesse,   cui   sono   istituzionalmente   destinate   le    somme
indebitamente erogate» (C.d.S. sentenza 4 febbraio 2008, n.  29).  In
altra pronuncia (se pur riferita alla liquidazione dell'indennita' di
buonuscita, lo stesso organo ha affermato accanto alle  figure  della
revoca e della modifica e della rettifica  considerate  nell'art.  30
testo unico n. 1032/1973) ben  puo'  coesistere  l'istituto  generale
dell'annullamento, alla cui base - oltre alla prova del vizio in  cui
l'Amministrazione sia  incorsa  sta  anche  la  dimostrazione  di  un
pubblico interesse specifico alla eliminazione dell'atto viziato, con
valutazione da farsi caso per caso; ove il riesame dia  luogo  ad  un
indebito da ripetersi, non puo' invocarsi il disposto  dell'art.  206
testo unico n. 1092/1973 - essendo questa  una  norma  eccezionale  -
trovando invece applicazione  i  principi  regolatori  della  materia
(Cons. d.S. sentenza 19 luglio 1998, n. 1241). 
    5.  Con   riferimento   al   secondo   profilo   attinente   alla
differenziazione tra pensioni pubbliche e private, fermo restando  la
coesistenza di una  pluralita'  di  regimi  previdenziali  aventi  la
medesima  finalita'  di  tutela  ma  caratterizzati   da   discipline
significativamente  differenti,  della  cui  compatibilita'  con   il
principio di  eguaglianza  non  e'  dato  dubitare  alla  luce  della
giurisprudenza costituzionale (Corte costituzionale sentenza 5 aprile
1984, n. 91), va valutata la persistente operativita'  di  discipline
previdenziali   differenti,   soprattutto    dopo    la    cosiddetta
privatizzazione del pubblico impiego. 
    Nelle recenti  riforme  questo  assetto  (categoriale)  anche  se
attenuato  quanto  ai  suoi  esiti  concreti  per  effetto   di   una
progressiva armonizzazione delle normative, non e' stato superato sul
piano concettuale tant'e' che la stessa riforma recata dalla legge  7
agosto 1995, n. 335, assume tra i propri principi «il rispetto  della
pluralita' di organismi assicurativi» (art. 1, comma 1). 
    Dall'altra, la stessa legge 8 agosto 1995, n.  335,  recante  una
complessiva  riforma  del  sistema   pensionistico   obbligatorio   e
complementare, dopo la parziale riforma del 1992, ha introdotto nuove
regole sulla previdenza tese a dare una maggiore  omogeneita'  ad  un
mosaico di trattamenti e prestazioni consolidate nel tempo;  essa  ha
inciso soprattutto nei  confronti  del  pubblico  impiego,  non  solo
attraverso la previsione di una graduale armonizzazione  dei  diversi
regimi pensionistici per quanto  riguarda  i  requisiti  di  accesso,
decorrenza del trattamento pensionistico e per quello di calcolo, sia
pure attraverso interventi graduali, ancora in corso  (legge  Maroni,
Prodi, Fornero), ma anche attraverso  la  revisione  disciplinare  di
alcuni istituti (es.: indennita' di buonuscita e TFR). 
    In  questo  quadro  normativo  in  evoluzione,  e'  inserita   la
soppressione dell'INPDAP  (quale  polo  della  previdenza  pubblica),
ordinatore principale e secondario di spesa,  per  tutto  il  settore
pubblico,  con  trasferimento  all'INPS,  istituto  che  svolgeva  le
medesime  funzioni  nel  settore  delle  pensioni  erogate  a  carico
dell'A.G.O. e  delle  gestioni  sostitutive  speciali  (commercianti,
artigiani minatori, coltivatori diretti, mezzadri e coloni) delle sue
funzioni  e  subentro  in  tutti  i   rapporti   attivi   e   passivi
(decreto-legge 6 dicembre 2011 convertito in legge 24 dicembre  2011,
n. 214). 
        5.1. Per quanto concerne la speciale disciplina dell'indebito
pensionistico, in discussione, quella pubblica - come  evidenziato  -
soggiace a precisi limiti temporali, stabiliti a pena  di  decadenza,
quanto  all'esercizio  del  potere  di  revoca  e  modifica   nonche'
all'esclusione  di   alcuni   vizi,   per   cui   appare   nettamente
differenziata da quella dettata per le pensioni a carico  dell'A.G.O.
e delle gestioni sostitutive, conformata ai  principi  opposti  della
modificabilita' senza limiti temporali e di vizi, salva  in  entrambi
gli  ordinamenti  l'irripetibilita'   degli   importi   indebitamente
percepiti in assenza di dolo. 
    Nel settore delle prestazioni previdenziali erogate dall'INPS, la
materia e' rimasta disciplinata da una normativa risalente al 1924 in
base  alla  quale:  «Le  assegnazioni  di  pensione  si   considerano
definitive quando entro un anno dall'avviso  datone  all'interessato,
non siano state respinte  dalla  Cassa  nazionale;  in  tal  caso  le
successive rettifiche di eventuali errori che non siano dovuti a dolo
dell'interessato - non hanno effetto sui  pagamenti  gia'  effettuati
(regio decreto 28 agosto 1924, n. 1422, art. 80, 3° cpv). 
    Dopo vari interventi interpretativi la Corte di  cassazione,  con
la sentenza n. 310 resa a Sezioni  unite  in  data  20  gennaio  1989
pervenne a ritenere altamente rilevante  l'errore  dell'istituto  sul
diritto  a  pensione;  venne  cioe'  esclusa  l'applicabilita'  della
sanatoria contenuta nella norma in esame, in tutti quei casi  in  cui
il  vizio  comportasse  l'annullamento   dell'atto   concessivo   con
eliminazione radicale del connesso diritto, mentre  fu  ammessa,  nei
casi in cui il vizio comportasse soltanto una riduzione della  misura
della pensione. 
    Con l'introduzione della  richiamata  disposizione  dell'art.  52
della legge 9  marzo  1989,  n.  88,  e  soprattutto  con  i  criteri
interpretativi dello stesso, forniti  dalla  Corte  di  cassazione  e
dalla Corte costituzionale (sentenza n. 383/1990), si e'  determinato
un cambiamento della disciplina degli indebiti pensionistici. 
    Si e' infatti affermato che la nuova normativa (contemplante solo
i provvedimenti di rettifica,  cioe'  quelli  conseguenti  ad  errore
sulla misura della pensione) avesse introdotto una sorta di sanatoria
generalizzata degli indebiti pensionistici, allo scopo di allineare i
pensionati del settore privato a quelli dello Stato,  di  guisa,  che
solo in caso di dolo del pensionato sarebbe stato possibile procedere
al recupero delle somme indebitamente percepite. 
    Invero,   anche   a    seguito    dei    canoni    interpretativi
giurisprudenziali (Cass. sezione un. n. 1965/1995), l'art.  52  della
legge n. 88/1989 ha finito per dar luogo ad una sorta  di  sanatoria,
pressoche' generalizzata, delle situazioni  debitorie  nei  confronti
dell'INPS,  che  spesso  provvede  con  ritardo  a  rideterminare  le
pensioni gia' in essere, a seguito  delle  verifiche  reddituali  dei
pensionati, comportante una riduzione delle prestazioni. 
    La materia e' stata disciplinata dalla legge  n.  412/1991,  art.
13, commi 1 e 2, qualificato come norma di interpretazione  autentica
dell'art. 52 e con effetti restrittivi in ordine alla  estensibilita'
della sanatoria anche a rapporti «pendenti alla data  di  entrata  in
vigore  della   norma».   La   successiva   pronuncia   della   Corte
costituzionale   cui   era   stata   rimessa    la    questione    di
costituzionalita' dell'art. 13 dalla Cassazione ha affermato  «l'art.
13 della legge n. 412/1991 piu' che una norma interpretativa  e'  una
norma di portata innovativa rispetto all'art. 52 per cui - per essere
compatibile con i principi costituzionali  deve  essere  interpretata
nel senso che deve essere applicata, solo alle  situazioni  debitorie
insorte successivamente al 30 dicembre 1991» (Corte costituzionale 12
gennaio 199, n. 39). 
    Di  conseguenza,  alla   luce   dell'applicazione   dei   criteri
introdotti    dalla    Corte    costituzionale,     l'irripetibilita'
dell'indebito -  nel  settore  privato  -  a  partire  dal  1992,  e'
condizionato ai seguenti fatti: 
    a) che le somme indebite siano state corrisposte in  base  ad  un
formale definitivo provvedimento che risulti viziato da errore; 
    b)  che  del   provvedimento   sia   stata   data   comunicazione
all'interessato; 
    c) che l'indebita erogazione non consegua ad omessa  segnalazione
- da parte dell'interessato - di fatti incidenti sul diritto o  sulla
misura della pensione, fatti di  cui  non  siano  gia'  a  conoscenza
dell'INPS. 
    Tale  orientamento  restrittivo   e'   confermato   anche   dalla
giurisprudenza  secondo  cui  il  potere  di  rettifica  puo'  essere
esercitato, cioe', senza limiti di tempo e con riguardo  a  qualsiasi
tipo  di  errore,   compreso   quello   di   diritto,   «intendendosi
provvedimento modificato nel suo significato piu' ampio,  comprensivo
dell'ipotesi di provvedimenti di revoca o di annullamento,  totale  o
parziale (ex plurimis sezione lavoro sentenza 21 marzo 1992, n. 3563;
sezione lavoro 12 gennaio 1991, n. 828). 
        5.2. La stessa legge n.  412/1996,  art.  16,  comma  6,  con
riferimento  alla  disciplina  introdotta  in  materia  di   indebiti
pensionistici dall'art. 1, commi 260 a 265 (per i  periodi  anteriori
al 1996 esclusi dal recupero), e introducendo  il  limite  reddituale
del percettore (per il recupero  degli  indebiti  formatisi  dopo  il
1996), e' stata pacificamente  ritenuta  applicabile  anche  per  gli
indebiti pensionistici sorti  sui  trattamenti  erogati  direttamente
dallo Stato o  dall'INPDAP,  come  e'  desumibile  dal  disposto  «Le
disposizioni di cui all'art. 16, comma  6  della  legge  30  dicembre
1991, n. 412, si  interpretano  nel  senso  che  tra  le  prestazioni
erogate dagli enti gestori di forme di previdenza  obbligatoria  sono
da  ricomprendere  le   pensioni   erogate   ai   dipendenti,   delle
amministrazioni pubbliche di cui all'art.  1,  comma  2  del  decreto
legislativo  3  febbraio  1993,  n.  29,  nonche'  le   pensioni   di
invalidita' erogate dallo Stato» (legge 23  dicembre  1998,  n.  448,
art. 45, comma 6). 
    In realta' la legge 23 dicembre 2001, n. 48 (L.F. 2002) art.  38,
commi 7-10 ha, poi, esteso l'operativita' del meccanismo di  recupero
introdotto dalla legge n. 662/1996 agli indebiti sorti fino al  2000,
con esclusione degli indebiti formatisi dopo la  data  del  1996  sui
trattamenti erogati dallo Stato e dall'INPDAP. 
        5.3. Il breve  escursus  normativo  e  giurisprudenziale  che
parzialmente e con limite temporale ha accomunato la disciplina degli
indebiti su trattamenti pensionistici erogati dall'INPS e dall'INPDAP
consente quindi di rilevare che  con  l'arresto  normativo  da  parte
dell'art. 38 della legge 23 dicembre 2001, n. 448, e  la  persistenza
delle norme «speciali», e' venuto meno quel processo  di  sostanziale
avvicinamento tra le due  discipline  degli  indebiti,  che  conferma
l'assenza di una  disciplina  «generale  a  regime»,  della  subjecta
materia. Difatti, fuori dal limite temporale sopra  indicato  (1996),
la normativa di riferimento per  gli  indebiti  pagamenti  effettuati
dall'INPDAP e' in linea di principio, tranne per la specifica ipotesi
di provvedimenti provvisori, quella  dell'art.  206  testo  unico  n.
1092/1973 che limitatamente ai provvedimenti definitivi condiziona il
recupero al «dolo positivo» e «commissivo» dell'accipiens. 
    Tali principi, che sostanzialmente accomunano settore pubblico  e
privato,  unitamente  a   quelli   elaborati   dalla   giurisprudenza
costituzionale,   costituiscono   le    regole    del    sottosistema
dell'indebito previdenziale, cosi' come  delineato  nella  preminente
ottica di tutela della particolare situazione di bisogno sociale  del
pensionato  e  della  specifica  incidenza  che  la  ripetizione   ha
potenzialmente sulla conservazione di beni  esistenziali  oggetto  di
particolare garanzia costituzionale. 
        5.3.  Delineati  cosi'  i  tratti  salienti  degli   indebiti
pensionistici, occorre stabilire se la permanenza di  differenze  tra
le due normative -  accomunate  come  evidenziato  -  dalle  medesime
esigenze di tutela dello Stato e del percettore - trovi un'adeguata e
razionale giustificazione, fermo restando che sia possibile ravvisare
la violazione dell'art. 3  Cost.  quando  situazioni  sostanzialmente
identiche siano disciplinate  in  modo  ingiustificatamente  diverso,
mentre non si manifesta tale  contrasto  quando  alla  diversita'  di
disciplina corrispondano  situazioni  non  sostanzialmente  identiche
essendo  insindacabile  in  tali   casi   la   discrezionalita'   del
legislatore. 
    In realta', le due norme sono  accomunate  da  piu'  aspetti:  la
funzione retributiva identica assolta dalle  pensioni  «pubbliche»  e
quelle «private», la sussistenza della distinzione tra  provvedimento
provvisorio e definitivo sussiste in entrambi gli ordinamenti, mentre
solo  per  il  privato  si  pone  il  problema  della   ripetibilita'
dell'indebito;  l'art.   13   della   legge   n.   412/1991   ammette
l'irripetibilita' in presenza di una serie di condizioni tra  cui  la
definitivita' del provvedimento. 
        5.4.  In  entrambe  le  ipotesi,  una   asserita   violazione
dell'art. 38 Cost., non si appalesa in  presenza  di  erogazioni  non
dovute che quindi non  possono  concorrere  per  loro  stessa  natura
all'integrazione della prestazione previdenziale adeguata, sicche' la
loro ripetizione non  puo'  di  per  se'  arrecare  alcun  vulnus  al
precetto costituzionale; sia perche' l'adeguatezza va realizzata  nei
limiti  della  compatibilita'   con   le   risorse   disponibili,   a
salvaguardia dell'equilibrio del bilancio statale, sul quale  gravano
tutte le prestazioni  previdenziali  di  qualsiasi  natura  e  regime
(Corte costituzionale n. 99/1995). 
    Dall'altra, la stessa Corte costituzionale  ha  riconosciuto  che
«l'affidamento dei cittadini alla stabilita' della normativa  vigente
e' tutelato come inderogabile precetto di rango  costituzionale  solo
in materia penale (art.  25,  secondo  Cost.).  Per  il  resto  norme
retroattive sono ammissibili purche' comportano una  regolamentazione
non manifestamente irragionevole  (sentenza  n.  419/2000),  onde  la
retroattivita'   puo'   risultare    giustificata    proprio    dalla
sistematicita'  dell'intervento   innovatore   e   dall'esigenza   di
uniformare i trattamenti di situazioni giuridiche pendenti  e  quelle
delle situazioni che si determineranno in futuro. 
    Nella specie, poi,  si  tratta  dell'affidamento  dei  pensionati
nell'irripetibilita'  di  trattamenti   pensionistici   indebitamente
percepiti in buona fede, ed esso e' tanto piu' meritevole  di  tutela
ove si tratti di pensionati a reddito non elevato  che  destinano  le
prestazioni  pensionistiche,  pur  indebite,  al  soddisfacimento  di
bisogni alimentari propri  e  della  famiglia.  In  tale  affidamento
questa Corte (sentenza n. 431 del 1993) ha individuato  -  alla  luce
dell'art. 38  Cost.  -  un  principio  di  settore,  che  esclude  la
ripetizione  se  l'erogazione  non  dovuta,  destinata  a  soddisfare
essenziali esigenze di vita del pensionato non sia a lui addebitabile
...». Ed ancora «... D'altra parte la  necessita'  costituzionale  di
proteggere, nei sensi  indicati,  l'affidamento  del  pensionato  non
implica di per se' una disciplina unica dell'indebito  previdenziale,
onde al legislatore, che si sia allontanato dal principio civilistico
della totale ripetibilita' dell'indebito  oggettivo  (art.  2033  del
codice  civile)  deve  riconoscersi  un  ambito  di  discrezionalita'
nell'individuazione  di  strumenti  piu'  idonei   a   garantire   ai
pensionati a basso reddito  un  congruo  livello  di  tutela,  in  un
generale quadro  di  compatibilita',  e  fra  essi  puo'  ben  essere
annoverata la scelta di collegare la  ripetibilita'  ad  un  criterio
meramente reddituale. Inoltre la sostituzione del  regime  di  tutela
dell'affidamento del pensionato con un  altro  criterio,  diverso  ma
parimenti orientato, seppure sotto  certi  aspetti  meno  favorevole,
trova, con riferimento, alla normativa censurata (legge n.  662/1996)
sufficiente   giustificatezza   nel   carattere   straordinario    ed
eccezionale dell'intervento legislativo, diretto a porre ordine nella
materia dell'indebito previdenziale (Corte costituzionale sentenza n.
1/2006). 
        5.5. La stessa modificabilita', per qualsiasi ragione e senza
limiti di tempo delle pensioni pubbliche, al pari di quelle  private,
potrebbe confliggere con la tutela dell'affidamento, quale, ancorche'
non espressamente previsto nei trattati europei e nella Costituzione,
canone  fondamentale  nel   rapporto   autorita-   liberta',   «parte
dell'ordinamento giuridico comunitario» (CGCE causa C-12/1977 del  13
maggio  1978/Topefer)  nei  termini  in   cui   e'   recepito   nella
giurisprudenza della Corte di giustizia  della  Comunita'  europea  e
della stessa Corte costituzionale. 
    In  primo  luogo,  aderendo  alla  prospettazione  seguita  dalla
giurisprudenza maggioritaria, va considerato che il  principio  della
tutela dell'affidamento non  puo'  essere  utilizzato  come  criterio
autonomo ma ricondotto  ai  principi  di  uguaglianza,  certezza  del
diritto e legalita'. 
    In particolare, per quanto riguarda i rapporti di  durata,  quale
indubbiamente e' quello  pensionistico,  la  Corte  di  giustizia  ha
circoscritto  la  tutela  dell'affidamento,  nella  declinazione   di
certezza  del  diritto,  nei  limiti  degli  effetti  giuridici  gia'
prodotti, che non debbono essere incisi dall'atto sopravvenuto, ma lo
ha escluso per quelli futuri non ancora prodotti (CGCE n. 373/1993). 
    Nella stessa  direttiva  la  Corte  costituzionale  (sentenza  12
dicembre 1985, n. 349) chiamata a pronunciarsi sulla legittimita'  di
interventi normativi  volti  a  introdurre  modifiche  in  peius  dei
trattamenti pensionistici con effetto retroattivo  ha  affermato  che
«nel nostro sistema costituzionale non e' interdetto  al  legislatore
di emanare  disposizioni  le  quali  modifichino  sfavorevolmente  la
disciplina dei rapporti di durata,  anche  se  il  loro  oggetto  sia
costituito da diritti soggettivi perfetti, salvo, qualora  si  tratti
di disposizioni retroattive, il limite costituzionale  della  materia
penale (art. 25, secondo comma, Cost.). Dette disposizioni pero',  al
pari di qualsiasi precetto legislativo, non possono trasmodare in  un
regolamento irrazionale e arbitrariamente incidere  sulle  situazioni
sostanziali poste in essere da  leggi  precedenti,  frustrando  cosi'
anche l'affidamento del  cittadino  nella  sicurezza  giuridica,  che
costituisce elemento fondamentale e  indispensabile  dello  Stato  di
diritto.  In  particolare   non   potrebbe   dirsi   consentita   una
modificazione legislativa che, intervenendo in una fase avanzata  del
rapporto di lavoro, ovvero quando addirittura e' subentrato lo  stato
di quiescenza, peggiorasse senza un'inderogabile esigenza, in  misura
notevole e in maniera  definitiva  un  trattamento  pensionistico  in
precedenza spettante, con la conseguente, irrimediabile vanificazione
delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il  tempo
successivo alla cessazione della propria attivita'». 
    Seguendo la stessa logica deve essere consentita la  modifica  di
un trattamento erroneamente calcolato a vantaggio (e specularmente  a
svantaggio)  del  pensionato,  salva  l'irripetibilita'   dei   ratei
percepiti in buona fede. 
    La necessita' di contemperare la tutela dell'affidamento con  gli
altri valori costituzionali e', del  resto,  implicitamente  espressa
anche dalla norma - art. 21-nonies legge n. 241/1990 come  modificato
dalla legge n. 15/2003 che (recependo i  principi  affermati  in  via
giurisprudenziale), subordina l'esercizio del potere di  annullamento
del  provvedimento  illegittimo   alla   sussistenza   dell'interesse
pubblico. 
    Fermo restando che l'irripetibilita', salvo l'ipotesi  del  dolo,
dei ratei pensionistici indebitamente percepiti, prevista in entrambi
i settori (art. 52, legge n. 88/1989 come  interpretato  dall'art.13,
legge 1991, n. 412; art. 206 testo unico n. 1092/1973 e  8  legge  n.
428/1986)    nell'ampio    spettro    risultante    dall'applicazione
giurisprudenziale costituente diritto  vivente,  integra  una  idonea
tutela dell'affidamento del pensionato, che  sostanzialmente  non  si
atteggia diversamente a seconda che si tratti  di  un  ex  lavoratore
pubblico o privato. 
    6. La tutela apprestata dagli articoli 36  e  38  Cost.  riguarda
quindi sia i lavoratori pubblici che privati, per cui tali norme  non
potrebbero essere utilmente  invocate  al  fine  di  giustificare  il
mantenimento di una disciplina differenziata tra pensionati. 
    7. Per le medesime ragioni e'  ravvisabile  anche  la  violazione
dell'art. 97 della Costituzione, norma la cui  garanzia,  secondo  la
giurisprudenza  del  giudice  della  leggi  si  combina  con   quella
dell'art.  3  «implicando  lo   svolgimento   di   un   giudizio   di
ragionevolezza sulla legge censurata, nel senso che la violazione del
giudizio di ragionevolezza e' da ritenersi integrata dal tenore della
disposizione impugnata nella misura in  cui  riserva  una  disciplina
irragionevolmente e  arbitrariamente  favorevole  ai  pensionati  del
settore pubblico rispetto a quello privato». 
    Differenziata disciplina che, irragionevolmente, sottrae all'ente
previdenziale  pubblico,  in  un   momento   di   gravi   difficolta'
economiche-finanziarie, di ricorrenti timori  per  la  sostenibilita'
del sistema previdenziale e, infine  in  una  prospettiva  futura  di
crescente compressione dell'entita' delle prestazioni previdenziali a
parita'  di  contributi  versati,  la  possibilita'  di  impedire  il
protrarsi, per un periodo di tempo  indeterminato,  di  un  nocumento
patrimoniale  corrispondente   all'erogazione   di   un   trattamento
pensionistico erroneamente calcolato. 
    Il tutto senza che nell'ambito di una  previsione  generale,  non
discriminante  in  relazione  all'entita'   dell'indebito   e/o   del
trattamento  pensionistico  correttamente  determinato,  la   lesione
dell'interesse  pubblico   trovi   un'adeguata   giustificazione   in
situazioni  economiche  e  sociali  del  pensionato  specificatamente
individuate e  non  apoditticamente  assunte  a  denominatore  comune
dell'intera categoria, comprendente anche soggetti titolari di  laute
ed eventualmente plurime  pensioni  (Corte  conti,  sezione  Calabria
ordinanza n. 301/2014). 
    8. A fronte dell'esistente autonomia istituzionale e  finanziaria
delle singole gestioni ma tenuto conto dell'identita' della  funzione
retributiva,  del  processo  legislativo  di  omogeneizzazione  delle
pensioni e, soprattutto, l'assenza di oggettive differenziazioni  tra
le  situazione  giuridiche  regolate,  sia  sotto  il  profilo  della
procedura  seguita  che  sotto  quello  dei   valori   costituzionali
tutelati, la rilevata  diversita'  di  trattamento  giuridico  e'  da
ritenere in contrasto con i principi di uguaglianza ex art. 3 Cost. e
di buon andamento dell'azione della pubblica amministrazione ex  art.
97 Cost. Pertanto, l'art. 26 della legge 30 giugno 1967,  n.  315  e,
per conseguenza, gli articoli 204 e 205 del  decreto  del  Presidente
della Repubblica 29 dicembre  1973,  n.  1092,  nella  parte  in  cui
limitano la revoca  e  la  modifica  del  trattamento  di  quiescenza
liquidato in via definitiva  ai  soli  casi  ivi  contemplati  e  nei
termini temporali indicati, integrano una violazione del precetti  di
cui agli articoli  3  e  97  Cost.,  per  contrasto  con  la  diversa
disciplina recata dall'art. 52  della  legge  n.  89  del  1988  che,
invece, consente la rettifica in qualsiasi momento  e  per  qualsiasi
vizio. 
    In definitiva, cio' che accomuna gli indebiti pensionistici al di
la' dei parziali e temporali interventi  effettuati  dal  legislatore
sulla specifica disciplina  di  settore,  e'  la  possibilita'  della
pubblica amministrazione di  riesaminare  e  riformare  in  peius  un
provvedimento, concessivo di determinati diritti patrimoniali  ad  un
dipendente  pubblico  o  privato  con  conseguente  formarsi  di   un
indebito.